Uno giorno d’agosto di qualche anno fa, più per caso e per curiosità personale che per necessità, sono stato testimone ed in un certo qual modo, protagonista di una peculiare vicenda burocratica, di cui racconterò ampiamente nei paragrafi a venire; prima di continuare, però, caveat, invito sin da subito e con veemenza tutti coloro ai quali venisse in testa di provare ad emulare quanto verrà raccontato a desistere: non provateci nemmeno!
Mi ero recato alla frontiera tra la Turchia e la Grecia per accompagnare in Hellade mio fratello e mia sorella, Siciliani anch’essi ovviamente, ed il di lei futuro marito, Reggino (almeno Siculofono quindi!), con i quali tra fine luglio ed inizio agosto avevamo fatto un viaggio da Reggio Calabria (in realtà io ero partito qualche ora prima da Erice) ad Antiochia, con fermate più o meno lunghe ad Istanbul, Göreme (in Cappadocia) ed Arsuz (l’Issos di Macedonica memoria).
L’auto (una Kia Sportage 2000cc cabrio benzina rossa, unica nota negativa i 9 km ad Euro di media lungo i 5,500 km per i quali ho fatto parte dell’equipaggio) era stata registrata nel mio passaporto, ragion per cui dovevo farmi timbrare l’uscita dalla Turchia, ma non volevo arrivare alla frontiera Hellenica, per ragioni che saranno chiare successivamente. Ingenuamente ho fatto partecipe di questo mio desiderio l’incaricato alla frontiera turca, che mi ha esplicitamente intimato di arrivare alla frontiera Greca perché nessuno degli altri tre passeggeri aveva una delega a condurre.
Se non gli avessi detto nulla, avrei potuto tranquillamente scendere dalla macchina in terra di nessuno, salutare tutti e tornarmene indietro, anche perché ai Greci (e questo anche per via di esperienze precedenti), sembra che di deleghe a condurre di un mezzo con targa UE non gliene importi proprio nulla. Una volta costretto, ho guidato fino alla frontiera Greca, ho lasciato l’auto ai miei compagni di viaggio, e me ne sono tornato a piedi (attraversando la frontiera a piedi, gli Helleni non mi hanno nemmeno fermato per controllare i documenti, come prima con l’auto, quando ci avevano soltanto chiesto se avevamo a bordo sigarette o alcool).
Sapevo però di avere un appuntamento con il destino, che nel mio caso si chiamava Yoryos (Giorgio). Questo bel ragazzo di Thessaloniki di nemmeno vent’anni, alto, magro, biondo e con gli occhi azzurri, che avrebbe tranquillamente potuto ottenere la parte di protagonista di qualche film su di Alessandro il Grande, era di guardia sul penultimo posto di guardia Greco prima del ponte sull’Evros. Sapevo che i suoi ordini erano quelli di impedirmi il passaggio del ponte, che per chissà quale astruso motivo non può essere attraversato a piedi, ma fingendo innocenza ed ignoranza mi sono avventurato fino alla sua cabina, sperando chiudesse un occhio o che mi lasciasse inavvertitamente passare.
Il povero Yoryos, provato dalla completa solitudine del suo compito, non vedeva invece l’ora di beccare un povero cristo con cui imbastire un po’ di conversazione per rompere la monotonia dei turni di guardia. Siamo stati tre quarti d’ora a conversare del più e del meno, perlopiù nel suo stentato ma non sottovalutabile inglese, e devo dire che alla fine mi stava pure simpatico, ed avrei trovato la cosa pure piacevole se non fossimo stati sotto un torrido sole ad un centinaio di metri da un’irraggiungibile meta.
Yoryos è un soldato di leva, sottoposto ad una corvée non proprio attraente: turni di guardia solitaria di 3 ore, intervallati da turni di 6 ore di esercitazione o lavoro in caserma, con 6 ore di sonno ogni 18 ore di servizio. Fortunatamente dopo una mezz’ora passata a parlare del più o del meno si è offerto di aiutarmi a trovare un passaggio, e si è messo a fermare i rari automezzi che passavano. Ce ne fosse stato uno con un posto disponibile! Alla fine ha beccato l’asso di briscola in un gentile camionista Turco alla guida di un enorme TIR della Omsan (uno dei giganti della logistica Turca), grazie al quale sono riuscito finalmente ad attraversare il maledettissimo ponte.
Conversando con Yoryos sul ciglio della strada, mi sono accorto che una delle auto che avevano attraversato il ponte dirette alla frontiera Turca, occupata da tre ragazzi sulla ventina o poco meno, mostrava una bella targa italiana, così quando, ormai all’interno della nuovissima stazione di frontiera Turca (la vecchia è stata in pratica spianata), li ho visti in fila mi sono avvicinato per vedere se riuscivo a trovarmi un passaggio per Istanbul.
La mia speranza è sfumata quando ho visto che l’auto era stracarica, per cui una volta che c’ero ne ho approfittato per scambiare due chiacchere in Italiano: i tipi erano Milanesi. Stavo per andarmene per la mia strada, quando ho visto sul cruscotto tre carte d’identità, e mi è suonata una campanella in testa. Ora avrei potuto andarmene tranquillamente per la mia strada, e magari mettermi a cercare un altro passaggio, ma da buon Siciliano ho voluto compiere la mia buona azione quotidiana, ed ho chiesto al ragazzo alla guida se aveva portato con se il passaporto.
Due dei tre mi hanno risposto all’unisono che la guida Lonely Planet affermava che per entrare in Turchia non ci fosse necessità del passaporto, ma che bastasse la sola carta d’identità, al che gli ho dovuto raccontare la triste verità, e che cioé senza passaporto non potevano importare temporaneamente l’auto; ho consigliato loro inoltre di parcheggiare l’auto, dacché prima di entrare avrebbero dovuto andare ad acquistare i necessari visti!
Dopo essere andato a farmi timbrare il passaporto per rientrare in Turchia, ed essermi sorbito l’occhiataccia del poliziotto per il fatto che stavo rientrando il giorno stesso la mia uscita dal paese, mi sono accorto che i tre ragazzi milanesi erano piuttosto spaesati, ragion per cui mi sono offerto di guidarli nei meandri della burocrazia turca.
Altro che buon Samaritano, quello sulla strada da Gerusalemme a Gerico, anche lui Siculo in viaggio doveva essere!
Siamo entrati nell’ufficio doganale, dove ho attratto l’attenzione di un impiegato, al quale ho spiegato nel mio Turco stentato la situazione; il tipo ci ha riflettuto sopra, ed alla fine, incredibilmente, si è offerto di fare entrare l’auto con la sola carta d’identità del proprietario.
Ci credereste ora se vi dicessi che nessuno dei tre era proprietario dell’auto, e che non si erano portati dietro uno straccio di delega a condurre? A questo punto mi sono messo d’impegno ed ho spiegato la cosa al tipo (o almeno credo di esserci riuscito), il quale mi ha offerto un’altra scappatoia: se gli facevamo avere un fax con la delega a condurre e la carta d’identità del proprietario, ci avrebbe messo una buona parola lui con il direttore per far entrare l’auto in spregio a tutta la normativa vigente.
Ripensandoci, chissà se questo funzionario non avesse antenati Siculi anche lui!
A questo punto però ci credereste ora se vi dicessi che nessuno dei tre conosceva il proprietario dell’auto? L’auto era intestata ad una signora che a quanto pare era l’ex datrice di lavoro del padre di uno dei ragazzi, padre a cui l’auto era stata venduta da pochissimo tempo, tanto che la cosa non risultava ovviamente nel libretto. Anche il padre, poi, volendo, dare un’auto appena comprata e materialmente senza documenti al figlio per andare a fare un viaggio di migliaia di chilometri attraverso almeno tre distinti paesi …
Miracolosamente tra i vari documenti i ragazzi hanno trovato una registrazione al PRA al nome del summenzionato padre, il quale dopo circa due ore (nel frattempo abbiamo pranzato in un ristorantino nel duty-free annesso alla stazione di frontiera) è riuscito ad inviare un fax con una delega a condurre in Inglese (ci credereste che una sua collega l’aveva sottomano perché una sua figlia aveva fatto la stessa intelligentissima cosa tempo addietro? Tutte cime i genitori Padani? O semplice disabitudine all’oppressione burocratica?) e la sua carta d’identità, dopodiché sono riuscito a far passare il documento del PRA come parte integrante del libretto di circolazione (una bianca bugia diremmo in Inglese), ed alla fine il funzionario si è convinto ad alzare un telefono rosso fuoco ed a farci rilasciare tutte le necessarie autorizzazioni.
Quasi tutte … ai ragazzi mancava ancora il visto!!!
Credevo di averle viste tutte, ma questa ancora mi mancava: quando si entra in Turchia con la carta d’identità, i Turchi appendono il visto sopra un foglietto di carta bianco, sul quale vengono stampati i timbri di entrata ed uscita. A quanto pare al funzionario delegato alla vendita dei visti erano finiti i fogli bianchi (o gli era andato il pranzo di traverso, o proprio gli stavamo antipatici, chi lo sa?), ed ha appeso i visti sulle carte d’identità. Cose mai viste! Basito, ho accompagnato i tre ragazzi dal poliziotto dell’occhiataccia, avvertendoli della stranezza, ed infatti il tipo di fronte a quelle tre carte d’identità con visto prima ha sacramentato in Turco, poi intravedendomi alle loro spalle mi ha rinnovato l’occhiataccia, è uscito fuori dal suo chiosco ed ha preteso il mio passaporto.
Ho messo su una faccia angelica mentre lui controllava se per caso non fossi ricercato per un qualsivoglia reato, non trovando nulla su cui appigliarsi mi ha restituito il passaporto, ma non ha ovviamente bollato le carte d’identità dei tre ragazzi, ordinando a me di portarli dal suo superiore nel chiosco accanto, che però era vuoto. A questo punto siamo tornati nuovamente dal funzionario ai visti, con il quale ci siamo semplicemente presi a maleparole (colpa anche mia, non ricordo mai il termine turco per “foglio di carta bianco“, e lui non aveva idea di cosa fosse un paper), ed alla fine ci siamo imbattuti nel superiore del poliziotto dell’occhiataccia.
Il tipo, probabilmente settuagenario, ha sacramentato a sua volta per l’assurdità dei tre visti appiccicati sulle carte d’identità, ma fortunatamente ha tirato fuori tre foglietti bianchi su cui ha trasferito i tre visti (slinguandoli), che ha poi provveduto a bollare. A questo punto abbiamo acquistato il visto per l’auto, e fortunatamente il responsabile stava ancora aspettando l’italiano con la carta d’identità (AKA il Milanese con il papà un po sbadato), e finalmente siamo riusciti ad uscire da quella trappola.
I tre Milanesi avevano oramai fatto un punto d’onore del dovermi accompagnare ad Istanbul, per cui ci siamo divisi il carico in una maniera differente (ho viaggiato abbracciato ad materassino argentato), ma alla fine ad Istanbul a casa della mia amorevolissima e preoccupatissima futura moglie gli ho potuto offrire un bel (?!) caffé espresso fatto con una macchina a pistone che avevamo prestato due anni addietro a degli amici Turchi e che ci era stata restituita giusto qualche giorno prima, ma questa è un’altra storia…
P.S.: mi ripeto, non provate ad importare temporaneamente in Turchia un mezzo senza passaporto e delega a condurre, la storia appena raccontata rimane nell’ambito delle esperienze eccezionali, qualunque poliziotto turco, con la cena di traverso o anche soltanto rompicoglioni, e a conoscenza delle convenzioni internazionali avrebbe potuto trovare mille pretesti per sequestrare o confiscare anche soltanto temporaneamente l’auto una volta in Turchia.
Chi entra in Turchia con un’automobile (o una moto) deve portarsi appresso il passaporto per segnare l’importazione temporanea del mezzo, ed il mezzo deve essere di sua proprietà o deve possedere una delega a condurre lo stesso firmata dal proprietario ed autenticata ufficialmente (da un notaio o da un pubblico ufficiale, io mi rivolgo solitamente alla delegazione municipale più vicina).
Fortunatamente la conoscenza dei trattati internazionali non è proprio il forte dei poliziotti turchi (probabilmente nemmeno di quelli di tutte le genti del bel paese là dove ‘l sì suona), i quali un centinaio di chilometri prima di Istanbul ci hanno fermato e ci hanno fatto una multa di 41 milioni di lire Turche (20 Euro!). Perché, vi chiederete voi? Presto detto, il ragazzo alla guida aveva acceso le luci, la cosa aveva attratto inevitabilmente l’attenzione di una coppia di poliziotti (perché mai tiene le luci accese di giorno si saranno chiesti), ed uno dei due si è accorto che una delle luci anabbaglianti era rotta, il resto è storia …
P.P.S.: caveat finale, non sono un avvocato, sopra ho raccontato di un’esperienza accaduta qualche anno addietro, non è assolutamente detto che nel frattempo le leggi non siano già cambiate due o tre volte, o che anche all’epoca venissero interpretate erroneamente da alcuni o da tutti gli attori, per cui informatevi sempre personalmente, prima di partire per un viaggio in auto o in moto all’estero, sullo stato dell’arte legislativo e su quali siano le normative valide per il momento.
A ben pensarci è incredibile come i cittadini elettori permettano che i vari Stati facciano a gare nell’introdurre sempre nuove leggi, circolari, regolamenti, scartoffie, ma d’altronde et corruptissima re pubblica plurimae leges.
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