Friday, 21 May 2010

Akbil, Istanbul’s smart ticket

Except for the couple of years following the disastrous earthquake that hit Istanbul in the summer of 1999, when it suffered a sizable if only temporary decline in population, in the last twenty years the population of the city straddling the Bosphorus has grown by an average of 600 000 inhabitants per year, and understandingly, managing this growth has been a major problem.

Adding up more than ten million more people means adding up between three to four times the population of Rome, or about twice the population of Sicily, and to a city that was already bigger than Rome twenty years ago. Houses, roads, hospitals, bridges, viaducts, highways and other infrastructures to cater for the needs of all those people had to be built, in some cases even twice as it was necessary to rebuild a big chunk of those due of the damage caused by the earthquake of 1999.

Managing public transport in Istanbul is a huge task, given that while each day there are almost three million private vehicles going around the city, the rest of the over 15 million people living or working in the city are using the mass transit services offered running mainly by the local public transport company, the IETT.

To give an idea of the type of tasks in which the IETT is continuously involved, just over the past five years they have put in operation a fast bus line on a purposely built dedicated lane which is currently carrying one million people a day, they have built under the Bosphorus Straits the undersea rail tunnel Marmaray, the deepest underwater tunnel in the world, which is going to be capable of withstand 150,000 passengers per hour and they have currently managing the construction of 25 km of new underground lines.

The mandate of the IETT is certainly titanic. The major highways that run through Istanbul, the so-called Çevreyollari (“ring roads”) are congested 24 hours a day seven days a week throughout the year. Next to that sort of hell on earth, other major European orbital motorways like the M25 around London or the GRA around Rome are looking like some sort of country road.

IETT must address and resolve problems of an immense scale, such as finding a way to sell daily the tickets for more than six million passengers, which on certain days become more than ten million within the twenty-four hours .

Incredibly, for the public transport system of a city that has more inhabitants than the sum of Milan, Rome, Naples, Turin, Palermo, Florence, Genoa, Bari, Catania, Cagliari and some, all cobbled together, its linchpin can quietly rest in the palm of one hand: the Akbil, Istanbul’s “smart ticket”.

Once upon a time, over fifteen years ago, a group of Turkish engineers working for the IETT adopted a small device, technically an i-button, practically a small chip covered by steel manufactured in the U.S. from what was then called Dallas Semiconductor, and developed a system to use that as a portable rechargeable electronic ticket. It can easily be connected to your key chain, it can be recharged anywhere and it can be used to take all sorts and types of public transport, which in a city that covers 5,000 km2 means virtually every vehicle ever invented by mankind to move on land and sea, and even the cola from the vending machine in the subway.

To use it, the only thing you need is to click the button on a smallish special purpose reader device, obviously installed at the door of all sorts of public transport, hence you will be absolutely sure you have paid the ride, while the computer system of the IETT will care about whatever else, fare rules and everything. There are over ten million Akbil in circulation only in Istanbul, and each day the IETT sells on those at least five million tickets.

Akbil, il biglietto intelligente di Istanbul

Ad Istanbul il problema principale della città è che negli ultimi venti anni la popolazione è cresciuta in media di 600 mila abitanti all’anno, con l’unica eccezione del biennio tra il 1999 ed il 2001, quando, a seguito del disastroso terremoto che la colpì nell’estate del 1999, subì un temporaneo quanto vistoso calo demografico.

Sono oltre dieci milioni di persone in più, cioé tre e quattro volte la popolazione di Roma oppure circa il doppio della popolazione della Sicilia, che si sono aggiunte ad una città che era già più grande di Roma venti anni fa; tutte persone per le quali si sono dovute costruire case, strade, ospedali, ponti, viadotti, autostrade ed altre infrastrutture, che in alcuni casi si sono dovute poi ricostruire per via dei danni provocati dal terremoto del 1999.

La gestione del trasporto pubblico ad Istanbul è un’opera immensa, infatti mentre i veicoli privati in giro per la città ogni giorno sono ormai quasi tre milioni, il resto degli oltre 15 milioni di abitanti va in giro con i mezzi dell’IETT, la locale azienda di trasporti pubblici.

Per dare un’idea del tipo di opere in cui l’IETT è coinvolta continuamente, negli ultimi cinque anni ha aperto una linea di bus veloci su corsia dedicata che trasporta un milione di persone al giorno, ha costruito sotto lo stretto del Bosforo il tunnel ferroviario Marmaray, il più profondo tunnel sottomarino del pianeta, capace di reggere 150 mila passeggeri all’ora ed ha oltre 25 km di metropolitana in costruzione.

Il compito dell’IETT è certamente titanico. Le grandi arterie stradali che solcano Istanbul, le cosiddette Çevreyollari (in Siciliano “cievreiollari”) sono congestionate 24 ore la giorno sette giorni la settimana tutto l’anno, un vero e proprio inferno in terra al cui confronto il traffico nelle grandi circonvallazioni europee come la M25 a Londra o il grande raccordo anulare a Roma sembra quello di una strada di campagna.

Le problematiche che l’IETT deve affrontare e risolvere sono ovviamente in scala con il suo compito, ad esempio la vendita dei biglietti per oltre sei milioni di passeggeri quotidiani, che in certi giorni diventano ben oltre dieci milioni di passeggeri nell’arco di ventiquattro ore.

Incredibilmente, la chiave di volta della gestione del trasporto pubblico in una città che ha più abitanti della somma di quelli di Milano, Roma, Napoli, Torino, Palermo, Firenze, Genova, Bari, Catania, Cagliari più qualche altra tutte assieme, sta tranquillamente nel palmo di una mano: l’Akbil, il “biglietto intelligente”.

Oltre quindici anni fa un gruppo di ingegneri turchi alle dipendenze dell’IETT ha adattato un piccolo dispositivo, tecnicamente un i-button, praticamente un piccolo chip rivestito d’acciaio, costruito negli USA da quella che all’epoca si chiamava Dallas Semiconductors, alla funzione di biglietto elettronico portatile e ricaricabile. Lo si attacca al portachiavi, lo si ricarica ovunque e si prendono tutti i mezzi pubblici, che in una città che si estende per 5000 km2 significa praticamente tutto ciò che di mobile è stato inventato dall’umanità per muoversi su terra e mare, e volendo anche la cola dal distributore automatico in metrò.

Basta letteralmente fare un click del bottoncino con uno speciale dispositivo progettato all’uopo ed installato in tutti i mezzi pubblici, e veramente poco ingombrante, per essere certi di avere pagato la corsa, del resto, regole tariffarie e quant’altro, se ne occupa il sistema informatico dell’IETT. Di Akbil in circolazione ce ne sono oltre dieci milioni ed ogni giorno vengono vendute attraverso di esso almeno cinque milioni di corse.

Tuesday, 18 May 2010

Sull'ottimo utilizzo di "@"

Fino a non molti anni fa in Italiano il segno identificato dal carattere tipografico @ veniva chiamato esclusivamente "a commerciale", ed era praticamente conosciuto soltanto da chi si occupava di contabilità. Ancora oggi "a commerciale" è il nome ufficiale con il quale viene indicato e definito @ nelle traduzioni ufficiali in Italiano dei vari standard per la codifica dei caratteri tipografici, sia in ambito informatico che telematico.

Questo segno ha una storia lunga alle spalle, e mi è capitato di leggere o sentire ipotesi che ne fanno risalire l'origine ai Romani, con il significato di prezzo unitario del contenuto di una anfora, con una certa analogia all'uso contemporaneo, ma non ho mai visto prove certe al riguardo, soltanto indizi, per cui quello di cui siamo veramente certi è che già da secoli prima che inventassero la posta elettronica fosse comunemente usato in contabilità, utilizzato per indicare il prezzo unitario, praticamente con il significato di "al prezzo unitario di". Questo uso è ancora abbastanza comune nei paesi Anglosassoni, capita ad esempio di vedere nei mercati all'aperto Britannici la frutta vendute "@30p", che significa appunto a 30 centesimi di sterlina cadauna.

Incidentalmente, se l'etimologia basata sull'anfora fosse quella corretta, in analogia all'uso iberico, dove la "a commerciale" viene chiamata "arroba", che era l'anfora da 25 libbre (dall'arabo "ar rub", un quarto di 100 libre appunto), in Siciliano il segno @ potrebbe essere anche chiamato "quartara", che è appunto il nome Siciliano dell'arroba.

La "a commerciale" in Inglese viene considerata come un segno tachigrafico per indicare l'unione tra la a e la t, ed infatti viene sempre pronunciata "at", e viene usata a rappresentanza di una preposizione comune alla gran parte delle lingue Indoeuropee, già testimoniata nel Sancrito ("adhi").

Questa preposizione nel Latino classico veniva usualmente scritta come "ad", ma non sempre, abbiamo infatti testimonianze di forme in "ar", vedi ar-biter e non ad-biter, che è la ragione per cui diciamo arbitro e non adbitro o più probabilmente abbitro anche in Italiano (in questo caso, la parola Siciliana deriva probabilmente da una forma meno arcaica di quella Italiana), e veniva usata con l’accusativo, ma già nel IV secolo si era imposta la forma scritta "at", forse in analogia con la forma diffusa anche tra le lingue germaniche. Nelle lingue Celte la forma usuale è ancora "ar", mentre è attestato come "az" in qualche dialetto Osco.

In Latino ad/at non indica usualmente stato in luogo, ma veniva usato principalmente per denotare tre diversi tipi di relazione:

  • per indicare la direzione verso un oggetto;
  • per indicare il luogo verso il quale qualcosa arriva;
  • per indicare il luogo presso il quale si è arrivati o ci si sta avvicinando;

Nel caso dei server di posta elettronica, la relazione indicata ancora oggi dalla preposizione è quella di: "presso" quando qualcosa si è precedentemente mossa o si sta muovendo "verso" quel qualcosa".

Vi sono però tanti altri usi, tra i quali è abbastanza comune quello nelle frasi dedicatorie, celeberrima la dedica al fratello in "M. Tullii Ciceronis ad Quintum Fratrem Dialogi tres de Oratore", o di indirizzamento.

Nell'Inglese standard la preposizione ad/at del Latino classico usata con l'accusativo viene usualmente tradotta dalla preposizione "to" sempre reggente l'accusativo, come nella celebre frase "to whom it may concern".

Negli ultimi anni, oltre che per indicare i server per la gestione della posta elettronica, si è iniziato ad assistere, dapprima nella comunità Anglofona, e poi in svariate altre comunità linguistiche in giro per il mondo, all'utilizzo del carattere @ con funzioni di indirizzamento o dedicazione.

Questo uso chiaramente non è un Anglicismo, perché appunto in Inglese per la funzione di dedicazione ed indirizzamento viene usata la preposizione "to", ma è un vero e proprio Latinismo.

Marcus Tullius Cicero oltre 20 secoli fa usava questa preposizione esattamente come tutti quelli che la usano su Facebook, Twitter, BlogSicilia ed altre mille piattaforme, e se proprio avessimo bisogno di un'autorità letteraria per dirimere una eventuale questione sulla liceità di tale preposizione e del relativo carattere tachigrafico con funzioni di indirizzamento o dedicazione, non ce ne sarebbero proprio molte di maggiori.

Il nostro beneamato Marcus Tullius Cicero avrebbe probabilmente chiamato questo uso "ad aliquem", anzi, probabilmente il buon Marcus Tullius Tiro, il segretario e confidente di M.T. Cicero tradizionalmente considerato il fondatore della stenografia, sarebbe certamente stato felicissimo di definirlo "@aliquem".

Le lingue sono organismi piuttosto dinamici in costante evoluzione, per cui non deve sorprenderci che l'uso che un paio di miliardi di persone fanno di un carattere tipografico abbia probabilmente radici millenarie, e sia sorprendentemente radicato in maniera simile attraverso tutta la famiglia dei linguaggi indoeuropei.

Dopo i celebri discorsi Ciceroniani del corrente presidente Statunitense Barak H. Obama, questa è una ulteriore e benvenuta conferma della continua importanza e forza intellettuale della cultura Latina anche nel mondo contemporaneo.