Tuesday, 23 August 2011

Windows Installer reference counting implementation on the registry

The old reference counting strategy was using the SharedDlls key:

HKEY_LOCAL_MACHINE\SOFTWARE\Microsoft\Windows\CurrentVersion\SharedDlls

This is legacy, for many good reasons.
But where is the new reference counting strategy implemented?
The "new", in quote because it has been around for a while nowadays, Windows Installer way is implemented under a different registry key:

HKEY_LOCAL_MACHINE\SOFTWARE\Microsoft\Windows\CurrentVersion\Installer\UserData

where the key S-1-5-18 is for per applications installed machine-wide, while the eventual other SIDs are for the user applications.

Sunday, 21 August 2011

I conti titoli esentasse per i residenti nel Regno Unito

Nel Regno Unito il governo britannico concede ai propri residenti di investire fino a £10680 annui in speciali conti esentasse, gli Individual Savings Account, popolarmente conosciuti con l'acronimo ISA.

Esistono al momento due tipologie di conti ISA, quelli assimilabili a conti di risparmio esentasse, i cosiddetti Cash ISA, e quelli assimilabili a conti titoli esentasse, i cosiddetti Stock and Share ISA.

Da rimarcare che esentasse in questo contesto è riferito sia all'income tax che alla capital gain tax, ma non alla stamp duty dello 0.5%, la Tobin tax britannica dovuta dagli investitori finali su ogni transazione azionaria sui listini britannici, mentre, dato che gli ISA sono uno strumento britannico, non è possibile reclamare indietro eventuali ritenute pretese da amministrazioni straniere (i.e. il 15% sui capital gain ed i dividendi statunitensi), ed anche che ovviamente non è possibile utilizzare le eventuali minusvalenze per compensare eventuali profitti entro o fuori ISA.

Mentre per i Cash ISA il limite massimo correntemente investibile in un dato anno fiscale, che nel Regno Unito va dal 6 Aprile al 5 Aprile dell'anno successivo, è di £5340, gli Stock and Share ISA permettono di investire annualmente fino al massimo consentito per questa tipologia di conti, correntemente £10680.

In un dato anno fiscale è anche possibile investire parzialmente in entrambe le tipologie di conti ISA, ad esempio è possibile investire £5340 in un Cash ISA e £5340 in un S&S ISA, l'importante è che comunque non si oltrepassi il limite massimo annuo di £10680.

Ogni anno fiscale si può quindi investire in un massimo di 2 conti, uno Cash e l'altro S&S, anche di fornitori differenti.

Nel conto titolo esentasse ISA S&S si può investire in una varietà di strumenti, non solo azioni, ma anche obbligazioni, fondi ed altri tipi di investimenti, ma la tipologia di investimenti è strettamente regolata dall'HMRC. Ad esempio, è possibile tenere liquidi soltanto in conti in GBP, anche quando si investe in borse d'oltremare, per cui bisogna cercare un fornitore non troppo esoso con le conversioni valutarie, e non si può investire in azioni di tutte le borse del pianeta, ma soltanto in quelle ufficialmente riconosciute dall'HMRC, ad esempio il listino principale di Milano lo è, ma non quello di Istanbul, e per quanto possa sembrare strano, non lo è nemmeno il listino AIM della LSE. Questo si riflette anche sull'investibilità nei cosiddetti ADR o CDR, ad esempio è teoricamente (bisogna trovare il fornitore che lo permetta) possibile investire sull'ADR di ENI al NYSE, ma non sull'ADR di Turkcell nello stesso listino, perché la quotazione primaria dell'ENI è in un listino "riconosciuto", mentre quella di Turkcell al momento no.

Come ci si poteva aspettarre i conti ISA molto popolari tra i residenti nel Regno Unito, ad esempio nel 2010/11 sono stati sottoscritti oltre 15,3 milioni di nuovi conti ISA, di cui 3,4 milioni S&S. In totale, i fornitori di conti ISA gestiscono al momento oltre 53,7 milioni di conti ISA, di cui 15,7 milioni S&S.

Dato che la sottoscrizione è rinnovabile anno dopo anno, vi sono almeno 647 mila investitori che sono riusciti ad accumulare più di £100.000 nei propri conti ISA.

Il valore totale di mercato di tutti gli investimenti in conti ISA alla fine dell'anno fiscale 2009/10 era di £349 miliardi, suddiviso praticamente fifty fifty tra conti Cash ISA e S&S ISA.

Riferimenti:

Tuesday, 16 August 2011

Proposta demografica per risolvere i problemi economici della Repubblica Italiana

In un articolo recentemente pubblicato da Mehmet Caner, Thomas Grennes e Fritzi Koehler-Geib ed intitolato “Finding the tipping point — when sovereign debt turns bad“, viene suggerito da osservazioni empiriche che per i paesi economicamente sviluppati, come la Repubblica Italiana, una volta che il rapporto tra il debito pubblico ed il PIL supera il 77%, per ogni punto percentuale oltre questo limite si perde lo 0.017% di crescita reale di PIL (o meglio uno 0.17% ogni 10% di debito oltre il 77%). Io personalmente trovo questa stima abbastanza ottimistica (anche se penso che probabilmente nella realtà non è poi così lineare), ma prendiamola per buona.
Che significa per i cittadini contribuenti della Repubblica Italiana (ed ivi residenti e lavoranti)?

L’ultima volta che il debito pubblico è rimasto sotto il limite del 77% passava l’anno 1984.

Dal 1984 ad oggi ogni singolo anno la crescita del sistema paese è stata inferiore a quella che sarebbe potuta essere, zavorrata da questo debito pubblico eccessivo. Totalizzando la crescita persa anno per anno a partire dal 1985, la Repubblica Italiana nel 2009 ha perso oltre il 10% di crescita potenziale di PIL. Gli stipendi attuali degli Italiani sono quindi probabilmente inferiori di circa il 10% a quelli che sarebbero potuti diventare se il debito fosse stato gestito meglio.

Dando retta a Caner & co., l’effetto a livello patrimoniale è ovviamente anche maggiore, circa il 17.5% del patrimonio pro capite (o se paragonato al PIL annuo, circa un 105%). In parole povere chi ha lavorato dal 1985 al 2009 ha perso almeno 2 se non 3 anni interi di stipendio (non tutta la popolazione lavora) che a quest’ora si ritroverebbe tra i suoi risparmi o investimenti, e tra l’altro gli è finita pure bene, perché l’effetto contrattivo peggiora con il tempo, per cui chi ha iniziato a lavorare dopo avrà sempre più minori retribuzioni rispetto a quelle che avrebbe potuto avere ed alla fine si ritroverà senza intere annate di stipendio. Tra l’altro dovrebbe proprio essere abbastanza evidente questo effetto oramai, no?
Tutto questo senza avere nemmeno iniziato il discorso sul fatto che buona parte di quel debito supplementare al 77% è stato creato per fare spese stupide e/o inefficienti e/o generazionalmente inique come le baby pensioni o “i costi della politica” o le pensioni retributive.
La Banca d’Italia ci informa ora che a Giugno del 2011 è stato stabilito il nuovo record assoluto del debito pubblico, pari a quel punto a poco meno di 1902 miliardi di Euro, ormai probabilmente oltre il 120% del PIL del paese. Oggi, ad Agosto 2011, fino a qualche giorno fa sembrava che nessuno volesse più comprare i titoli di stato emessi e garantiti dalla Repubblica Italiana, una crisi di confidenza da parte dei mercati, sul paese e soprattutto sul governo, e probabilmente un po’ tutta la classe politica, che sorprende purtroppo soltanto per non essere avvenuta ben prima di oggi, tant’è che la BCE si è trovata costretta, suo malgrado, a dover intervenire per acquistarne grandi quantitativi, in cambio per ora di semplici promesse da parte del governo Italiano.
Il governo Italiano deve ora decidere a quali riforme fiscali e strutturali affidare il tentativo di risanare il paese, con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico il prima possibile, incentivando comunque la crescita.

Se il buon giorno si vede dal mattino, è un’impresa praticamente disperata.

Tra le prime reazioni, su NoiseFromAmerika il buon Michele Boldrin suggerisce di cambiare immediatamente governo, ridurre le retribuzioni di un sottoinsieme dei dipendenti pubblici, cancellare la riforma federalista nella sua forma attuale, introdurre una nuova riforma pensionistica per comprimere la spesa pensionistica al 10% del PIL in un tot d’anni, privatizzare svariate partecipate statali, e liberalizzare, mentre la proposta di riforma della sanità del buon Francesco Forti suggerisce se non sia anche il caso di andare a vedere se si può migliorare l’efficienza e l’efficacia di quel settore.

Si potrebbero fare anche proposte ben più estreme, come ipertassare i diritti acquisiti immeritatamente (sei un baby pensionato da quando avevi 30 anni? Ricevi un vitalizio perché hai fatto un giorno da parlamentare? Beccati questa megatassa che ti parifica al regime contributivo, ipotecandoti automaticamente tutte le proprietà, fino al pagamento del dovuto), ma si risolverebbero tutti, o comunque una parte notevole dei problemi del paese? No
No, non perché io ritenga che le proposte di cui sopra non siano desiderabili, anzi, e nemmeno perché io non pensi che possano aiutare a ritornare più o meno velocemente a questo fantomatico limite del 77%, o quello che sia, a partire dal quale il sistema paese ritornerebbe a funzionare meglio ed a creare più ricchezza, e nemmeno per tante altre ragioni, ma semplicemente perché ritengo che purtroppo il principale ostacolo alla crescita del paese, da un trentennio a questa parte, è la sua struttura demografica, e la totale incapacità della classe politica e dirigente a cercare di mitigarne gli effetti.

La piramide demografica del paese è mostrata da questo grafico, basato su dati ISTAT, cortesia di Wikipedia:


Dal grafico si evince chiaramente che quarantacinque anni fa improvvisamente c’è stato un cambiamento demografico epocale, il tasso di natalità è crollato improvvisamente, in vent’anni si è dimezzato, trasformando quello che era un paese in espansione demografica in un paese in pesante contrazione demografica, contrazione che si è sì fortunatamente arrestata una ventina di anni fa, ma che non è stata purtroppo né preventivata né soprattutto gestita in maniera efficace dalle classi dirigenti.
Da trent’anni a questa parte, da quando cioé gli effetti deleteri di questa mancata stabilizzazione si sono iniziati a far sentire, è stato tutto un affannarsi a mettere pezze su pezze, per cercare di rimettere in moto un sistema che era stato costruito e congegnato per una ben diversa struttura demografica. Le misure via via implementate sarebbero probabilmente state sufficienti se la stabilizzazione demografica fosse avvenuta quarant’anni fa, ma una volta che la stabilizzazione demografica è avvenuta soltanto vent’anni fa, non sono state sufficienti, e dubito sarebbero state sufficienti neppure se al posto degli Italiani ci fossero stati gli Svizzeri o i Tedeschi (ammetto che probabilmente ci sarebbero state più possibilità!). Qualsiasi cosa si faccia oggi, il problema rimane sempre lì, ed è quel rigonfiamento tra i 35 ed i 49, rigonfiamento con cui bisognerà fare i conti almeno per i prossimi 40 anni.

Cosa si può fare? Continuare a mettere pezze? A me pare ovvio che l’unica soluzione possibile sia quella di intervenire radicalmente sulla struttura demografica del paese, attenuando artificialmente la contrazione delle classi di età under 35. Come? Importando persone, specificamente over 21, preferibilmente laureati, da paesi che abbiano il problema opposto rispetto alla Repubblica Italiana, cioé che si trovino ancora in una fase pronunciata di espansione demografica (e c’è soltanto l’imbarazzo della scelta, Marocco, Turchia, Egitto, Messico, Iran, Brasile, India, quasi tutti i paesi Africani, e così via).

Ecco come vorrei venisse trasformata entro la fine del 2012 la piramide demografica della Repubblica Italiana:


Per raggiungere questo scopo, in contemporanea a tutte le riforme proposte da Michele Boldrin per amplificarne gli effetti, basterebbe importare il prossimo anno 2,4 milioni di immigrati, metà uomini metà donne, nelle seguenti fasce d’età:
  • 300 mila nella classe 30-34
  • 900 mila nella classe 25-29
  • 1,2 milioni nella classe 21-24

Negli anni successivi, con i consequenti effetti economici positivi sui conti pubblici, andrebbe sì diminuito il debito pubblico, ma al contempo andrebbe incentivato il tasso di natalità dei residenti, migliorando le prestazioni a favore dei genitori, e bisognerebbe continuare ad incentivare l’immigrazione, in maniera meno intensa chiaramente, ma programmandola dal punto di vista demografico, con l’obiettivo di arrivare ad una stabilizzazione della piramide demografica in una ventina d’anni.

Ci sono dei rischi ad applicare un tale shock demografico improvviso, non c’è dubbio, ed andrebbero valutati e nel caso mitigati, ad esempio, e soltanto per fare un esempio, potrebbe avere senso iniziare ad applicare la riforma sanitaria assicurativa proposta da Francesco Forti proprio a questi immigrati: “sei laureato? sei nella classe d’età che ci interessa? Se ti paghi l’assicurazione sanitaria, puoi ottenere un permesso di lavoro!” (che poi probabilmente gli costerebbe meno di quanto costi ora ottenerne uno con la corruzione o addirittura farsi trasportare dagli scafisti)

Una volta valutati tutti i rischi, e mitigati per quanto possibile, questa è la strada maestra per risolvere i problemi del paese.

In mancanza di una tale politica di correzione degli squilibri demografici, chiunque dia un’occhiata al grafico sopra, dovrebbe rendersi conto che per tutti gli under 45 residenti nella Repubblica Italiana, il futuro promette e permette soltanto tregende.