La Russia brucia.
 
Questa estate è stata la più calda registrata in Russia da quando  sono iniziate le registrazioni delle temperature, a Luglio la  temperatura massima media è stata di 31C, in alcune zone sono stati  infranti record su record, ed il fenomeno sta continuando in questo  primo scorcio di Agosto.
 
Soltanto il primo fine settimana di Luglio, quando le massime hanno iniziato ad oltrepassare i 40C in buona parte del paese, sono morte circa 300 persone  perché affogate mentre cercavano di rinfrescarsi nei corsi d’acqua.  Soltanto a Mosca nel mese di Luglio, quando si sono registrate minime  notturne oltre i 35C, sono morte quasi 5000 persone in più che in media.  La cifra totale delle morti direttamente correlabili all’ondata di  caldo che ha colpito la Russia finirà probabilmente per essere stimata  almeno nelle decine di migliaia di vittime, se non proprio con cifre a sei figure.
 
L’ondata di caldo, completamente anomala, ben oltre 7C oltre le medie stagionali, è stata accompagnata dalla peggiore siccità che abbia colpito la Russia in secoli,  una combinazione letale che ha innescato migliaia di incendi che hanno  già distrutto milioni di ettari di foreste e soprattutto 9 preziosissimi  milioni di ettari di terreno agricolo.
 
Le previsioni per il raccolto di grano sono precipitate, delle  85 milioni di tonnellate previste al momento si spera di riuscire a  raccoglierne almeno 70 milioni di tonnellate. Per far fronte alla  perdita di oltre il 20% del raccolto, il governo Russo ha proibito le  esportazioni di grano almeno fino a Dicembre. Il crollo delle previsioni  sulla produzione di grano in Russia, che è uno dei principali  esportatori, specialmente nell’area del Mediterraneo, e soprattutto il  divieto di esportazione, hanno fatto letteralmente schizzare verso  l’alto i prezzi del grano sui mercati mondiali.
 
Dall’inizio della calda estate russa ad oggi il prezzo medio mondiale del grano è praticamente raddoppiato,  il che, come già accaduto un paio di anni fa, potrebbe tradursi in un  nuovo incremento del prezzo al consumatore di pane, pasta e tutti i  prodotti affini. Un paio di anni fa l’impennata dei prezzi fu in gran  parte determinata dall’aumento dei prezzi del petrolio, perché oltre un  certo livello di prezzi diventava più conveniente economicamente  utilizzare i raccolti di cereali ed affini per produrre carburante  biologico. In buona sostanza per far muovere le auto nei paesi più  ricchi si alzava il costo dei beni alimentari di prima necessità nei  paesi più poveri. Questa volta, se i prezzi del petrolio si dovessero  mantenere stabili, si dovrebbe riuscire ad evitare una tale perversa dinamica,  ma una qualsiasi impennata del petrolio in concomitanza alla difficile  situazione determinata dalle perdite dovute alla siccità in Russia  avrebbe conseguenze devastanti per le classi sociali più povere in molti  paesi.