Tuesday 25 March 2003

La guerra dell'Euro

(originally published the 25th March 2003)

La guerra per cambiare il governo dell'Iraq, giusta o sbagliata che sia, è un capolavoro di geopolitica e serve meravigliosamente gli interessi degli USA. Questa guerra è invece contraria agli interessi Europei. L'Iraq vende attualmente il petrolio in Euro, il che rende il veto preventivo della Francia su un cambio di governo che riporterebbe il petrolio mesopotamico nell'area del Dollaro pienamente comprensibile. Il Regno Unito non è nell'Euro e non gli converrebbe entrare ora nell'Unione Monetaria perché la Sterlina è debole, cosa che Blair comprende appieno. Le posizioni di Aznar e Berlusconi sono invece meno comprensibili, i loro paesi avrebbero avuto tutto l'interesse alla fine dell'embargo all'Iraq, anche mantenendo lo status quo nel governo iracheno, essi potrebbero non avere una percezione esatta di quello che sta accadendo. La scommessa di Bush jr, anche se forse egli non ne è l'ideatore, è invece molto furba ed intelligente, specialmente se l'invasione e la lezione dell'Iraq fermerà Libia ed Iran di dar seguito alla loro intenzione di vendere il petrolio in Euro, e potrebbe anche trasformarsi in un jackpot raggiungendo l'obiettivo finale di distruggere l'OPEC. La dottrina alla base di Enduring Freedom è invece abbastanza puerile, è la copia fedele della dottrina dell'Imperialismo Difensivo pensata ed insegnata in innumerevoli libri durante il XIX e l'inizio del XX secolo da generazioni di storici per spiegare l'espansione di Roma; il fatto che si possa vendere al popolo degli USA questa dottrina nel XXI secolo mostra quale sia la media delle conoscenze umanistiche di quel popolo.
Volendo fare un paragone storico tra gli USA e lo stato dei Romani potrei citare un gran bravo storico, William Harris [1], che ha definito lo stato Romano al tempo della Repubblica come l'aggressore per eccellenza. Per i Romani ogni guerra iniziata da loro era giusta e sacrosanta, e la tattica con cui rompevano le tregue e le alleanze era sempre la stessa: chiedevano alla controparte una lista di riparazioni perlopiù inaccettabili (noi diremmo un ultimatum, loro le chiamavano res repetitae) ed il non rispetto delle condizioni da parte della controparte aveva come epilogo finale la guerra, sempre. I risultati della guerra erano invariabilmente la vittoria dei Romani, data la loro continua superiorità militare, garantita costantemente dall'organizzazione dello stato Romano, una vera e propria industria mirata al potenziamento della capacità bellica, ed il sequestro di almeno (a quelli a cui andava bene) il 50% delle proprietà della parte sconfitta. Ora mentre agli occhi dei cittadini Romani questo modo di agire appariva completamente giusto, essi infatti avevano un'altissima concezione della moralità intrinseca delle guerre da loro intraprese, per ognuna delle quali riuscivano sempre a trovare un nobile pretesto, ai miei occhi salta invece immediatamente la somiglianza tra questa descrizione ed alcune cose che stanno accadendo in questi giorni. Questa è infine una guerra contro l'Euro, per salvare l'economia statunitense e continuare a permettere alle loro istituzioni finanziarie di stampare banconote per pagare il debito estero, per permettere loro di continuare a non certificare il bilancio nazionale e al cittadino medio di vivere seguendo uno stile di vita paradossale, che l'IMF ha tentato di applicare inutilmente in paesi senza petrodollari (Argentina e Turchia, in primis). Finché gli Europei non comprenderanno che potrebbero ripagarsi le pensioni stampando moneta se l'Euro venisse utilizzato nelle transazioni riguardanti il petrolio, questa non sarà una guerra contro l'Europa, ma rimane pur sempre una guerra contro gli interessi Europei.
Questi sono i miei 2 eurocent di realpolitik.

[1] War and Imperialism in Republican Rome. 327-70 B.C., Clarendon Press,
Oxford, 1979