Sunday 9 August 2015

Il conflitto redistributivo: la sconfitta del Sud


Caro Massimo,

dobbiamo però riconoscere che il Sud viene penalizzato in molti casi anche per via di decisioni politiche, alcune delle quali strategiche e che sono state implementate con perseveranza per decenni, se non per tutti i 154 anni di vita del paese.

Citando Michele Boldrin del 30 Luglio, che lo ha spiegato con parole migliori di quanto sia mai riuscito a fare io, dobbiamo riconoscere che "la politica è conflitto redistributivo: lo stato agisce nell'interesse dei gruppi sociali che lo controllano":
Riconosciamo infine, in terzo luogo, che mai e da nessuna parte lo stato è benevolente ed agisce nell'interesse della "collettività". Qui, a mio avviso, sta il limite fatale della ricerca economica sul tema "rules vs discretion": interessante ma irrilevante, perché prigioniero di un'illusione, ossia che la politica non sia anzitutto conflitto redistributivo: lo è. Lo stato agisce, anzitutto, nell'interesse dei gruppi sociali che lo controllano e non è certo sua priorità cercare politiche che siano lungo la frontiera di Pareto. Non nego sarebbe desiderabile che così fosse, ma questa desiderabilità appartiene alla stessa categoria ontologica della "vita eterna" o dell'uomo "buono e generoso": fantasie desiderabili.
Potremmo scrivere un libro con esempi in tutti i campi possibili ed immaginabili, mi limito a farne uno. I politici italiani, ma anche gli intellettuali ed in genere la classe dirigente, si diletta da decenni a farci notare che il turismo "potrebbe essere il petrolio del sud".

Io non sono mai stato totalmente d'accordo, perché vedo nel turismo qualcosa che idealmente dovrebbe essere complementare per una regione talmente vasta, non il settore principale su cui scommettere il proprio futuro, ma nella orrenda situazione attuale, come si dice dove sono nato, "ogni ficateddhu ri musca è sustanza".

La situazione attuale è descritta magnificamente da una infografica pubblicata per accompagnare un articolo del Corriere della Sera nel Luglio del 2014, un cartogramma che è diventato nel tempo virale soprattutto nei siti e nei forum pubblici dove si parla di turismo, e l'autore dell'infografica, l'ottimo Marco Tangherlini, è stato sufficientemente pietoso da non infierire, come avrebbe potuto fare usando la densità di flussi sulla popolazione residente.

Non ci vuole certo un genio per sospettare che forse far arrivare turisti stranieri in Sicilia o Calabria è molto più difficile che farli arrivare in Trentino Alto Adige o in Veneto. Ovvio che oltre a questo, lo sviluppo del turismo al Sud avrà tanti altri ostacoli, ma io, al contrario dell'odierno Ernesto Galli della Loggia, citato dal sempre ottimo Francesco Forti, ritengo che se "gli abitanti e le autorità dell’intera costa che da Maratea va fino a Pizzo hanno ridotto quei luoghi" come li hanno ridotti, è appunto perché non hanno un incentivo di lungo periodo, strategico, a trattarli in altra maniera, incentivo che più che dal Frecciarossa potrebbe essere determinato da una strutturale diminuzione ed una maggiore progressività dell'imposizione fiscale aeroportuale.

Esattamente come hanno fatto nei paesi con zone potenzialmente concorrenti al tipo di turismo che avrebbe potuto essere sviluppato nel Sud Italia: prendiamo ad esempio la Spagna.

Il fatto che il turismo sia più sviluppato a Ibiza o Palma rispetto a Trapani o Palermo, tra le tante cose dipende anche da decenni di spese aeroportuali più basse.

Gli aeroporti siciliani sono attualmente tra i meno cari aeroporti italiani, forse i meno cari in assoluto.
Se facessimo una top 10 degli aeroporti più cari in Spagna e Sicilia, i 7 aeroporti che servono la Sicilia ed i Siciliani sarebbero tutti tra i primi 9, in compagnia dei grandi hub spagnoli di Madrid e Barcellona.

Gli aeroporti delle mete turistiche spagnole con cui il settore turistico siciliano si trova a competere, o meglio spera un giorno di poter riuscire a competere, sono tutti enormemente meno cari degli aeroporti siciliani.

E questo non ostante da diversi anni a questa parte il governo spagnolo abbia deciso di incrementare la fiscalità aeroportuale (per motivi di cassa: privatizzare parte di AENA, il gestore pubblico di gran parte di questi aeroporti): imbarcare un passeggero in Spagna non è probabilmente mai stato così caro.

Gli operatori turistici spagnoli sono ovviamente molto contrariati da questo cambio di politica, perché l'aumento dei costi aeroportuali deprime il traffico aereo, e di conseguenza impatta negativamente lo sviluppo del settore turistico, in special modo delle aree periferiche non altrimenti raggiungibili, come ad esempio le isole.

Ancora oggi, nel 2015, dopo anni ed anni di costante aumento tariffario in Spagna, per una linea aerea il costo di imbarco in aeroporto per ogni passeggero è in genere enormemente più caro in Sicilia che in Spagna:

Costo imbarco pax Sicilia vs Spagna top 10


Chissà quale sarà l'impatto di decenni di una simile politica fiscale aeroportuale sul turismo siciliano?
E ripeto, gli aeroporti siciliani sono probabilmente tra i meno cari aeroporti che ci siano in Italia, dal punto di vista dei vettori e dei passeggeri.

L'impatto, in tutte le altre regioni, sarà stato anche peggiore (ed infatti, il traffico aereo spagnolo è ben più sviluppato rispetto a quello italiano).

Una porzione considerevole della pressione fiscale aeroportuale, oltre che a pagare gli ammortizzatori sociali degli ex Alitalia, finisce oggi alla gestione INPS che paga gli assegni sociali!

Dato che nel caso specifico le Regioni, nonostante una teorica competenza concorrente sul trasporto aereo, ed una competenza esclusiva sul turismo, non sono direttamente responsabili della distorsione fiscale in essere, le cose sarebbero potute andare in maniera diversa se invece di trattare gli aeroporti come vacche da mungere chi governa il paese avesse cercato di mantenere la pressione fiscale aeroportuale pari a quella dei concorrenti del settore turistico, specialmente di quelli del Sud? Se non fosse veramente stato possibile farne a meno, sarebbe stato tanta malvagia l'idea di implementare questa fiscalità in maniera progressiva, ad esempio in maniera proporzionale al PIL pro capite dei vari bacini aeroportuali?

Per far notare quanto poco sarebbe potuto costare una politica simile in maniera strutturale, e quale potrebbe essere stato il ritorno potenziale, abbiamo fortunatamente un bellissimo esempio: una quindicina di anni fa, un piccolo gruppo di politici locali della ex Provincia di Trapani, si mise in testa di sviluppare un aeroporto, quello di Trapani Birgi, che era rimasto praticamente chiuso per buona parte degli anni '80 e '90. Dopo aver tentato per qualche anno con alterni successi la strada del contributo pubblico attraverso le cosiddette tratte onerate, una dozzina di anni fa, probabilmente grazie al supporto decisivo di alcuni azionisti privati, hanno iniziato ad offrire uno sconto sulla fiscalità aeroportuale ad un singolo vettore low cost di circa 3 milioni di Euro annui. In 10 anni, l'aeroporto in questione è passato da fare poche migliaia di passeggeri all'anno, a quasi 2 milioni di passeggeri l'anno, trasformandosi in un favoloso volano per il settore turistico della Sicilia Occidentale. Vedendosi arrivare torme di turisti stranieri, migliaia di residenti si sono trasformati in piccoli imprenditori turistici: soltanto a Trapani dal 2000 al 2015 il numero di bed&breakfast è salito da 0 a quasi 500.

Il risultato, in termini di presenze ed arrivi, é stato quello descritto da questa tabella:

Densità di arrivi e presenze su popolazione 2013 su 1998

Di fronte ad un +200% di presenze turistiche in 15 anni, come era logico attendersi, si è assistito ad un continuo incentivo a migliorare i luoghi, ad una maggiore attenzione dei cittadini rispetto alle controprestazioni fornite dagli enti locali.

L'intervento pubblico testé descritto era purtroppo fragile, e fatalmente destinato ad interrompersi perché non strutturale, ed infatti il Sig. Crocetta, una volta conquistato il governo della Sicilia, si è affrettato a tagliarlo, per motivi non esattamente comprensibili, ma non ci vuole molto ad immaginare che la fiscalità aeroportuale è regressiva e non progressiva sopratutto perché "la politica è conflitto redistributivo: lo stato agisce nell'interesse dei gruppi sociali che lo controllano".

Quale classe politica riuscirebbe a spiegare agli elettori del Nord senza perdere consenso che i loro aeroporti dovrebbero pagare marginalmente di più perché altrimenti gli aeroporti del Sud, e di conseguenza gli operatori turistici, non possono nemmeno sognare competere con i concorrenti spagnoli, greci o turchi?

Quale classe politica riuscirebbe a convincere gli azionisti ed i dirigenti di SAVE, che è una miniera d'oro, che una tale fiscalità progressiva non fosse un attacco diretto ai loro profitti, ai loro dividendi, ai loro bonus, alla crescita ed allo sviluppo del traffico aereo e lo sviluppo turistico ed economico del Veneto?

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